C'era una volta il corredo

 

Si tratta di una mostra allestita dal 21 al 24 Luglio 2011 a Castelplanio, durante la Sagra della Crescia sul Panaro. In esposizione parte della collezione di corredi di Graziella Garofoli. Di seguito una descrizione.

 

C’era una volta il corredo... Bisogna iniziare cosi, perchè ormai il corredo che le spose preparavano accuratamente per lunghi anni e portavano in dote al matrimonio, va forse riposto tra le favole. Purtroppo. Perchè è un altro spicchio di femminilità scomparsa, sacrificata forzatamente dalle donne in nome del lavoro per assicurare una vivibilità dignitosa alla famiglia. E lenzuola,

asciugamani, tovaglioli, ma anche biancheria intima, camicie da notte appena trasparenti e molto più sensuali del niente o quasi odierno, diventano cimeli da museo. Oggi si acquista tutto al market, tutto uguale per tutti, costruito in serie anche per le boutique. Come si sta tentando di fare per le persone, comprimendole in stampi  creati dai potenti, rubando alle persone individualità, discernimento, creatività, fantasia.


Il corredo era una carta d’identità della sposa e della sua famiglia. Fatto di gusto, dedizione, accuratezza e un pizzico di fantasia tutta femminile. Vietato a padri, fratelli e fidanzati occuparsi di corredo o solo vederlo prima del matrimonio. Si riponeva accuratamente nella grande cassa di legno, tra naftalina e mazzetti di spighetto. Si sfoggiava soprattutto alla nascita dei figli, quando parenti e amici facevano visita per i saluti, le congratulazioni, i pranzi. Pizzi, ricami, candide tovaglie e tovaglioli, ma anche la collana di corallo rosso della neo mamma, gli ori, gli spilloni d’oro e corallo, le “boccole” (orecchini) d’oro giallo da 24 carati che incastonava perle vere o solo madreperle lavorate. Il corredo era sfoggio, ma anche fonte di malcelate invidie, chiacchiere, critiche e veleni sussurrati. Come per le “vettarelle”, teli di lino fine da un metro per cinquanta centimetri, con ricercati e artistici pizzi ai lati minori, ripiegato in tre strati e posto sul capo delle donne nelle feste aggreganti, assieme ai costumi d’epoca e ai monili più o meno preziosi. Certo, c’erano i corredi delle spose benestanti che spesso venivano ordinati a sartorie di prestigio, ma erano più suggestivi e tradizionali quelli fatti dalle future spose, fin dall’adolescenza, assieme a nonne e madri nelle sere di veglia. Le ragazze imparavano da madri e nonne, ma anche - o molto più – dalle suore che erano vere maestre di ricamo, a usare ago e filo, capire la differenza tra lino, cotone, lana con tutte le variazioni annesse. E creavano il loro corredo: dodici asciugamani, lenzuola di sopra e di sotto, federe, tovaglioli, corpetti e quanto altro si doveva. I ricami al pizzo o al tombolo impreziosivano il corredo, ma obbligatorio, innanzitutto, era “curare il palmo” con maestria. Un lavoraccio fatto di lavaggi ripetuti dei grandi teli di cotone grezzo, da stendere poi sul prato per farlo asciugare al sole. E appena asciutto si ricominciava daccapo, fino a quando il panno diventava bianchissimo e fine, pronto per essere lavorato da forbici, ago e filo. Quando nasceva una bambina, la madre iniziava praticamente da subito a risparmiare lira su lira per il corredo da sposa. Altro che famiglia patriarcale con l’uomo padre e padrone. Era la donna, la ‘vergara’  madre di famiglia a guidare la micro-comunità, a tenere la chiave del primo cassetto del comò dove si riponevano i magri risparmi, i pochi monili e le cose care. Solo grazie a questa predisposizione atavica delle donne al risparmio e del mettere da parte ricordi e brandelli di storia familiare che in questo terzo millennio è ancora possibile vedere e ammirare quell’universo di femminilità estinta o in via d’estinzione. Come le favole. Come...”C’era una volta il corredo”.

La collezionista
Garofoli Graziella
per info contattare Marche Atipica

 


Dai corredi di:
Genangeli Celeste   1891 – 1973
Venanzoni Seconda  1897 - 1992
Sabbatini Adalgisa  1911 – 2005

 

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